Commemorazione di tutti i fedeli defunti
Basilica di San Marco, 2 novembre 2007
Fratelli e sorelle carissimi,
la Chiesa oggi ci raccoglie nella fede nella vita eterna e nella preghiera per tutti i nostri cari defunti: una preghiera sorretta dalla speranza.
In questa Eucaristia noi intendiamo ricordare soprattutto i nostri Patriarchi defunti, i Canonici e quanti, in vita, hanno servito la Basilica Cattedrale di San Marco.
L’antifona d’ingresso della prima messa di oggi dà
voce alla nostra fede: “Gesù è morto ed è risorto; così anche quelli che
sono morti in Gesù Dio li radunerà insieme con lui. E come tutti muoiono in
Adamo, così tutti in Cristo riavranno la vita” (I Ts 4,14; 1 Cor 15,22).
La festa dei Santi e dei Morti è un grande atto di fede, è la celebrazione della morte e risurrezione di Cristo come fondamento della nostra speranza in una vita al di là della morte; è la luce della Pasqua che avvolge il mistero della morte e della nostra sorte dopo di essa e lo apre alla propsettiva della vita eterna.
Per questo la Chiesa celebra in stretta sequenza la memoria dei Santi –
e Santi per il credente sono tutti i figli di Dio salvati dalla grazia di
Cristo – e la memoria dei defunti: questi appartengono già alla schiera dei
salvati dalla grazia di Cristo, ma devono ancora scontare, prima di entrare
nella pienezza della felicità, un debito di purificazione.
La festa dei Santi e dei Morti è quindi la celebrazione della nostra fede pasquale: nei salvati è la Croce di Cristo che fiorisce, è il Padre che glorifica il Figlio con la corona dei santi. I santi infatti sono la gloria del Crocifisso risorto.
La festa odierna però è anche la celebrazione di
un’altra verità della nostra fede: i Santi che hanno già preso il loro posto
nella Casa del Padre, i defunti che attendono di entrarvi dopo l’ultima
purificazione e noi, ancora pellegrini verso la Patria, formiamo un’unica
famiglia dei figli di Dio: ci lega la carità di Dio, infusa nei nostri
cuori dallo Spirito di Gesù che ci è stato dato. E proprio grazie a questa legame
che ci raccoglie tutti nella famiglia dei figli di Dio, i Santi dal Cielo ci
possono aiutare, come noi possiamo aiutare i nostri defunti che attendono
l’ultima purificazione con le nostre preghiere di suffragio e le opere buone,
soprattutto con la carità. E’ la consolante verità della “Comunione dei
santi” che noi professiamo nel Credo apostolico e che attende di essere
tradotta in impegno personale e comunitario nella vita di tutti i giorni.
Tutto questo qualifica il modo cristiano di guardare le morte: essa, pur conservando il suo ineludibile aspetto doloroso quale conseguenza del peccato presente nella storia dell’uomo, dalla luce della fede pasquale è letta come “passaggio da questo mondo al Padre”. E allora comprendiamo come, con audacissima intuizione di fede, Francesco d’Assisi arrivi a chiamarla “sorella morte”.
2. Su tutto ci fa luce la Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato.
Il libro della Sapienza ci parla della morte del giusto: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”. E’ bellissima questa immagine di Dio che accoglie l’anima del giusto nelle sue braccia, come il padre che prende in braccio il suo bambino. E aggiunge: “Nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti – cioè di coloro che non sono condotti dalla Sapienza di Dio – la loro fine fu ritenuta una sciagura…Ma essi sono nella pace…La loro speranza è piena di immortalità. Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé. Li ha saggiati come oro nel crogiolo…Nel giorno del giudizio risplenderanno”. La luce che illumina il volto dei giusti è il fulgore della Pasqua di Cristo che ci ha salvati.
La seconda lettura è tratta dal libro dell’Apocalisse: Esso, mediante il linguaggio delle immagini e dei simboli che gli è proprio, ci fa intuire la felicità piena che Dio Padre destina per i suoi figli e che Gesù ci ha preparato con la sua morte e risurrezione. Essa supera ogni nostra attuale esperienza; perciò a noi riesce difficile trovare parole che la esprimano: in realtà la felicità dei salvati è partecipazione della gloria stessa di Cristo risorto: Lui inatti è andato prima di noi nella Casa del Padre a prepararci il posto: il posto dei figli, perché noi siamo già figli di Dio anche se questo ancora non si vede. Quando apparirà, sul nostro volto risplenderanno le sembianze stesse di Dio e noi lo vedremo così come egli è (cfr 1 Gv 3,2).
Il Vangelo ha proclamato le beatitudini. A osservarle bene, esse ci tratteggiano il volto stesso di Gesù – povero, mite, affamato e assetato di giustizia, portatore di pace, perseguitato - che le ha vissute e testimoniate.
Le beatitudini ci insegnano che la vera felicità sta in ciò che Dio stesso proclama felice e che quindi il senso vero della vita non può consistere nell’accumulare ricchezze o nel prevalere sugli altri, ma nel camminare davanti a Dio, giorno per giorno, con cuore filiale compiendo la sua volontà e fidandoci di Lui, amandoci gli uni gli altri nella mitezza e nella pace, fedeli al nostro Battesimo anche nelle difficoltà e nelle persecuzioni.
Il mondo, oggi soprattutto in mezzo a tanto individualismo, ha bisogno di vedere uomini e donne che, come Francesco d’Assisi e Madre Teresa di Calcutta, sono vissuti in grande libertà da ogni appoggio umano, amando i fratelli e spendendosi per loro, altro non chiedendo per sé che di seguire da vicino Gesù Cristo.
La morte quindi, com’è presentata dalla fede, ci insegna a vivere: ci insegna che ogni giorno che ci è dato, è dono di Dio, da spendere nella consapevolezza di essere pellegrini verso un’altra vita nella quale, come ci ha detto il libro dell’Apocalisse, “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno”, perché Dio sarà tutto per noi.