BASILICA PATRIARCALE DI
SAN MARCO
MESSA DEL CRISMA
Is 61, 1-3.6.8-9; Sal 88; Ap 1,5-8; Lc 4, 16-21
OMELIA DI S.E.R. CARD.
ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA
Venezia, 5 aprile 2007
Eminenza Reverendissima,
Cari fratelli nel sacerdozio,
Religiose e Religiosi,
Diaconi e ministri istituiti,
Amatissimi figli,
1. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri
orecchi» (Vangelo). La perentoria
attribuzione a Se stesso delle parole messianiche del Profeta che Gesù compie nella
sinagoga di Nazaret costituisce una salutare provocazione per tutti noi.
Convocato, come ogni anno, nella Chiesa Cattedrale in occasione della Solenne
Messa Crismale, sulla soglia del
Santo Triduo Pasquale, il Popolo santo di Dio, è qui rappresentato in tutti gli
stati di vita. Si raduna sotto la presidenza del Vescovo per celebrare il
mistero della fede e benedire il Santo Crisma e i Santi Oli che saranno
impiegati nelle celebrazioni liturgiche lungo tutto l’anno. L’azione liturgica della
Messa del Crisma unisce in intima comunione a Cristo e alla Santissima Trinità
tutto il popolo dei redenti cui viene donato di partecipare del sacerdozio
regale. Ma in modo speciale intensifica la comunione del presbiterio in cui si
documenta “l’affetto di predilezione”
con il Padre. Egli sceglie chi riceve l’Ordine sacro per indicare a tutti i
fedeli, soprattutto attraverso l’azione liturgica e sacramentale, Gesù Cristo
come modello di vita piena.. Il dono inestimabile della comunione si esprimerà
in modo esplicito, fra poco, quando il Patriarca inviterà, come prescrive il
rito, tutto il popolo a pregare prima per i sacerdoti e poi per il Vescovo.
Entrato ormai nel sesto
anno del mio ministero nella Chiesa di Venezia e come frutto della Visita
Pastorale avverto quanto la comunione tra noi nel presbiterio sia segno
primario della comunione di tutta
L’hodie impleta est haec scriptura del Vangelo riaccade ogni volta
che si celebra
2. L’intrinseco legame
tra l’Eucaristia e l’Ordine sacro mi spinge a soffermarmi con Voi
sull’importanza del nesso tra fede
eucaristica, azione liturgica e culto spirituale (SCa 5). L’approfondimento deciso e consapevole di tale nesso costituisce
senz’altro una strada privilegiata per rigenerare
il popolo cristiano, scopo fondamentale della Visita Pastorale che
continua, benefica, il proprio percorso.
Gesù, con l’unzione
dello Spirito Santo - «Lo Spirito del
Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione» (Prima Lettura) - è stato costituito, nella Sua santa umanità, testimone. Il Libro dell’Apocalisse chiama Gesù Cristo «il testimone fedele» (Seconda
Lettura). «Colui che ci ama e che ci
ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue» (Seconda Lettura) ci rinvia al Padre. E così l’eterna comunione di
vita tra il Padre e il Figlio nello Spirito si rende accessibile agli uomini
nel mistero dell’Incarnazione, Morte e Risurrezione del Signore.
Dove il «cuore anelante dell’uomo, che si sente
pellegrino e assetato» (SCa 2)
trova la via di accesso, la possibilità di partecipare ad un tale insondabile
mistero? «Nell’Eucaristia si rivela il
disegno di amore che guida tutta la storia della salvezza. In essa il Deus
Trinitas, che in se stesso è amore, si coinvolge pienamente con la nostra
condizione umana (…) Si tratta di un dono assolutamente gratuito, che risponde
soltanto alle promesse di Dio, compiute oltre ogni misura. La Chiesa accoglie,
celebra, adora questo dono in fedele obbedienza» (SCa 8).
Ogni volta che celebriamo
l’Eucaristia, dopo aver adorato il Corpo e il Sangue del Signore, acclamiamo il
Sacramento dicendo: «mistero della fede».
Non sono parole scontate. Sono l’espressione precisa di quanto celebriamo.
Approfondire la
coscienza di fede nel mistero eucaristico è reso oggi più che mai urgente dall’inarrestabile dilagare della cultura
dell’apparenza e dell’immediato, favorita dal dominio incontrastato delle
scienze e delle tecnologie. L’Esortazione Apostolica indica diverse vie per
vivere più pienamente l’azione liturgica.
Mi limito a richiamarne due. In primo luogo il nesso intrinseco tra celebrazione ed adorazione. «Nell’Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio
ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l’adorazione eucaristica non è che
l’ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più
grande atto di adorazione» (SCa 66).
Le nostre celebrazioni sono chiamate ad esprimere sempre meglio e sempre di più
questo loro essere atti di adorazione
per eccellenza. Questa sarà anche la strada per incrementare ulteriormente la
pratica dell’adorazione eucaristica che conduce sempre ad un partecipazione più
attiva, consapevole e fruttuosa
alla celebrazione liturgica.
Il mistero eucaristico
aiuterà anche a riconoscere – questa è la seconda via a cui voglio ora
riferirmi - che «poiché la liturgia
eucaristica è essenzialmente actio Dei
che ci coinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito, il suo fondamento non è a
disposizione del nostro arbitrio e non può subire il ricatto delle mode del
momento» (SCa 37). Questa è la
ragione essenziale per cui «contraddice
l'identità sacerdotale ogni tentativo di porre se stessi come protagonisti
dell'azione liturgica. Il sacerdote è più che mai servo e deve impegnarsi
continuamente ad essere segno che, come strumento docile nelle mani di Cristo,
rimanda a Lui. Ciò si esprime particolarmente nell'umiltà con la quale il
sacerdote guida l'azione liturgica, in obbedienza al rito, corrispondendovi con
il cuore e la mente, evitando tutto ciò che possa dare la sensazione di un
proprio inopportuno protagonismo» (SCa
23). Così la celebrazione eucaristica diventa per i presbiteri scuola
privilegiata di servizio. Sant’Agostino, infatti, ricorda che ogni praesumus – ministero di presidenza – nella
Chiesa è in funzione di un prosumus,
3. Ci siamo così
inoltrati - né poteva essere
diversamente - nella considerazione dell’Eucaristia come azione liturgica. L’Eucaristia, da duemila anni, è il gesto che
identifica davanti a tutti il
nostro essere cristiani. Lo vediamo ogni domenica attuarsi nelle celebrazioni
eucaristiche
Con grande semplicità e
gratitudine ognuno di noi partecipa a questa singolare azione liturgica che ha come «soggetto
proprio il Cristo risorto e glorificato nello Spirito Santo, che include la
Chiesa nel suo agire» (SCa 36).
Si rivela così il carattere drammatico dell’umana
esistenza per cui la coscienza che abbiamo di noi stessi si esprime nel nostro
essere in azione. Per questo la
Trinità, volendo farci partecipare della sua Vita divina, ci fa partecipare e
collaborare alla sua azione di salvezza. «mi
ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai
prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in liberà gli
oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Vangelo).
L’Eucaristia, quindi, che
è anzitutto actio Dei ma anche azione
veramente umana, esige
l’implicazione di tutto il
nostro essere. La Trinità non vuole semplici
spettatori o meccanici recettori
del dono della salvezza. Vuole
figli, uomini e donne liberi e consapevoli, che sanno rendere grazie, capaci di
cooperare assentendo (Concilio di Trento, Decreto
della giustificazione) al disegno di salvezza.
Proprio per approfondire
questa dimensione l’Esortazione Apostolica insiste contemporaneamente sull’arte
della celebrazione (ars celebrandi) e
sulla partecipazione attiva (actuosa
participatio), e lo fa – è questo uno degli elementi di maggior novità ed interesse
dell’insegnamento del Papa che costituisce un vero approfondimento della
riforma liturgica promosso dal Concilio Vaticano II – mettendo in evidenza come
«l’ars celebrandi sia la miglior condizione per l’actuosa
participatio» (SCa 38).
A questo proposito
sottolineo qualche preziosa indicazione pratica dell’Esortazione. Innanzitutto il ruolo fondamentale della bellezza
delle nostre celebrazioni. Essa «non è
mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci
raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e
attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore» (SCa 35). Una delle testimonianze più significative
che ricevo incontrando le
parrocchie del Patriarcato in occasione
della Visita Pastorale è la cura che molte persone, soprattutto donne,
dedicano alle nostre chiese: vi si
vede senz’ombra di dubbio l’amore per Gesù. Così le nostre celebrazioni
liturgiche - e in modo del tutto
particolare quelle domenicali - debbono splendere per la loro bellezza. Lo
richiede la verità del nostro essere cristiano. Lo richiede anche l’irrinunciabile responsabilità missionaria tanto
più imponente in una Chiesa come la nostra: non è necessario ricordare
quante migliaia di persone, pellegrini o turisti, frequentano le celebrazioni
del Centro storico o del Litorale ogni anno. Ognuno dovrebbe poter ritornare a
casa sua ferito dalla bellezza delle nostre liturgie. A questa bellezza
collaborerà non poco la cura del canto liturgico: in esso «tutto – nel testo, nella melodia, nell’esecuzione – deve corrispondere
al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici» (SCa 42).
Ma l’orizzonte ultimo della
bellezza dell’azione liturgica è la partecipazione attiva, consapevole e
fruttuosa del popolo cristiano alla celebrazione. Una partecipazione che «deve essere compresa in termini più
sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene
celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana» (SCa 52). Ad essa contribuirà non poco «un
deciso recupero della pedagogia della conversione che nasce dalla Eucaristia favorendo
tra i fedeli la confessione frequente» (SCa
21).
Conosciamo bene la
disaffezione che il nostro popolo subisce per il sacramento del perdono. Non possiamo rimanere inerti davanti
ad una tale situazione. Se gli uomini perdono il senso del peccato e non provano
un salutare dolore dei peccati, non raggiungono la maturità perché si
precludono l’offerta del perdono. Nel sacramento della Riconciliazione
rettamente celebrato si fa invece l’esperienza effettiva della misericordia di
Dio. E nessuno si scopre veramente amato fino a quando non viene abbracciato dalla sovrabbondante misericordia
della Trinità!
4. «Il cambiamento che il dono eucaristico genera
in noi (…) in quanto il mistero “creduto” e “celebrato” [possiede] in sé un dinamismo che ne fa principio di
vita nuova in noi e forma dell’esistenza cristiana» (SCa 70) compie pienamente l’actuosa
participatio. L’azione eucaristica, infatti, «esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo
e definitivo culto, la logiké latreía» (SCa
70).
Ecco perché non c’è
nulla di più lontano ed estraneo
al mistero eucaristico di una
spiritualità disincarnata! «In ogni atto
della vita il cristiano è chiamato ad esprimere il vero culto a Dio. Da qui
prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della vita cristiana (…)
Non c’è nulla di autenticamente umano –
pensieri ed affetti, parole ed opere – che non trovi nel sacramento
dell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza» (SCa 71).
Nel mistero eucaristico
– creduto, celebrato e vissuto – trova la sua sorgente propria l’unità di vita
del cristiano per cui ogni dualismo tra sacro e profano, tra preghiera e
azione, tra eterno e temporale, tra personale e comunitario, viene radicalmente
scardinato. Ogni indebita contrapposizione tra questi due poli è sempre frutto
della nostra incapacità di vivere
integralmente il mistero di fede che celebriamo sull’altare. Le debite
distinzioni non possono mai essere assunte come principio di separazione
dualistica.
5. Benedetto XVI ha
voluto intitolare l’Esortazione Apostolica con una espressione di San Tommaso
d’Aquino: Sacramentum caritatis.
Così, sulla scia della sua prima Lettera Enciclica, il Santo Padre è ritornato
al tema della carità riconoscendo nell’Eucaristia la sorgente sacramentale del
bell’amore. Ma l’amore professato e celebrato chiede di essere vissuto. Nella
vita del popolo cristiano si manifesta quotidianamente la circolarità degli
stati di vita del matrimonio e della verginità che, insieme, rendono
testimonianza al mondo del bell’amore. Di particolare intensità sono le parole
del Papa sul celibato che «rappresenta
una speciale conformazione allo stile di vita di Cristo stesso. Tale scelta è innanzitutto
sponsale; è immedesimazione con il cuore di Cristo Sposo che dà la vita per
6. Carissimi, nell’Ultima
Cena Gesù ha anticipato il Suo mistero pasquale rendendolo, in forza del
sacramento offerto alla nostra libertà, contemporaneo ad ogni uomo di ogni
tempo. La benedizione dei santi oli possa rinnovare in noi lo stupore eucaristico che visse nel cuore
degli apostoli nel Cenacolo. Lo stupore
eucaristico che si rinnova nella Visita Pastorale ogni volta che vedo il
popolo cristiano umilmente radunato nel nome della Trinità per ricevere il dono
di Gesù, cibo per il cammino della vita. Dallo stupore nascerà la gratitudine, che
farà di noi un sacrificio perenne a Lui gradito. Amen.