XXIII Assemblea Nazionale della Fies
Per una spiritualità cristiana autenticamente
eucaristica
(Sacramentum caritatis, n. 94)
La spiritualità cristiana alla luce della Sacramentum Caritatis
Sassone di Ciampino, 7 febbraio 2008
Angelo Card. Scola
Patriarca di Venezia
1. La chiave di lettura della Sacramentum Caritatis
Il titolo che il Santo Padre ha scelto per l’Esortazione Apostolica Postsinodale propone una delle più geniali definizioni del Mistero eucaristico date da san Tommaso d’Aquino: Sacramentum Caritatis. Il memoriale del dono che Cristo fa di Sé nel Suo Corpo e nel Suo Sangue è sacramento supremo dell’amore divino. E la scelta di riproporre la parola-chiave della sua prima Enciclica non è certo casuale. Nella Sacramentum caritatis rifulge il profondo magistero della Deus caritas est.
Senza dubbio quello della verità dell’amore è uno dei temi cruciali su cui si gioca il futuro della Chiesa e dell’umanità. Il Santo Padre che ne ha acuta consapevolezza vi ritorna con insistenza nel testo dell’Esortazione, sia esplicitando questa sua intenzione - «intendo porre la presente Esortazione in relazione con la mia prima Lettera enciclica Deus caritas est» (n. 5) -, sia attraverso riferimenti diretti alla stessa Enciclica (cfr. nn. 5, 9, 11, 82, 88, 89).
Di fronte all’abisso di gratuità dell’amore eucaristico di Gesù la prima e più umana risposta è la sorpresa quasi incredula, la stessa di Pietro e dei dodici quando Lo videro inginocchiarsi per lavar loro i piedi o dei due di Emmaus quando Lo riconobbero allo spezzare del pane. Lo “stupore eucaristico” a cui il servo di Dio Giovanni Paolo II ha dedicato un memorabile passaggio della sua Enciclica sull’Eucaristia (EdE, 5-6) è indicato come la via maestra perché gli uomini e le donne del nostro tempo facciano l’esperienza dell’amore.
Nella Sacramentum caritatis il lungo e complesso itinerario del Sinodo sull’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa mostra il suo frutto più maturo ma, lungi dal chiudere un appassionante lavoro, lo rilancia con decisione. Infatti l’Esortazione Apostolica Postsinodale si propone di esplicitare «alcune fondamentali linee di impegno, volte a destare nella Chiesa nuovo impulso e fervore eucaristico» (n. 5).
La chiave sintetica per accedere al nucleo centrale dell’Esortazione Apostolica e pertanto al cuore della spiritualità eucaristica può, a mio giudizio, essere identificata nell’unità profonda e indissolubile tra Mistero eucaristico, azione liturgica e nuovo culto spirituale, come viene esplicitamente richiamato al n° 5: «nel presente documento desidero soprattutto raccomandare, accogliendo il voto dei Padri sinodali, che il popolo cristiano approfondisca la relazione tra il Mistero eucaristico, l’azione liturgica e il nuovo culto spirituale derivante dall’Eucaristia, quale sacramento della carità».
La preoccupazione chiaramente sottesa a questa raccomandazione in cui il Santo Padre mette in campo il peso della sua autorità è superare ogni giustapposizione tra dottrina, prassi liturgica e vita cristiana (spiritualità). In questa prospettiva i contenuti delle tre parti del documento pontificio - Eucaristia, mistero da credere, Eucaristia, mistero da celebrare ed Eucaristia, mistero da vivere - sono intimamente legati e si illuminano a vicenda, facendo emergere che un significativo guadagno del lavoro del Sinodo sta proprio nell’aver posto le condizioni perché alcuni dualismi, talora ancora presenti nella riflessione teologica e quindi nel tessuto della vita ecclesiale, potessero essere superati. Penso, per esempio, a quello tra fede eucaristica e rito o tra celebrazione ed adorazione o tra dottrina e pastorale.
Benedetto XVI
spalanca fino in fondo la prospettiva unitaria dischiusa dal lavoro sinodale
marcando con forza la centralità dell’azione
liturgica nella vita della Chiesa.
«è necessario vivere l’Eucaristia come mistero della fede autenticamente celebrato, nella chiara consapevolezza che “l’intellectus fidei” è sempre originariamente in rapporto all’azione liturgica della Chiesa. - dice in apertura della Seconda Parte dell’Esortazione il Santo Padre, richiamando l’assioma classico lex orandi – lex credendi - In questo ambito, la riflessione teologica non può mai prescindere dall’ordine sacramentale istituito da Cristo. Dall’altra parte, l’azione liturgica non può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della fede» (n. 34).
La fede (mistero da credere) rende possibile la conformazione della vita cristiana (mistero da vivere, nuovo culto, spiritualità) mediante l’azione liturgica (mistero da celebrare): così potremmo sintetizzare l’insegnamento del Santo Padre in questo passaggio. Nel rito eucaristico (cfr. nn. 3, 6, 38, 40), luogo per eccellenza della traditio, il cristiano accoglie (receptio) il dono di Cristo stesso per diventare, in forza della fede e della rigenerazione sacramentale, membro del Suo corpo che è la Chiesa.
2. La logiké latreia (cf Rm 12, 1)
Da duemila anni la celebrazione eucaristica domenicale è al centro della vita di ogni comunità cristiana: il dato ci sta davanti con la forza inoppugnabile di un fatto e non è certo casuale. Del resto è proprio la ratio sacramentalis della rivelazione da cui deriva la forma eucaristica dell’esistenza cristiana a spiegare fino in fondo questo primato dell’azione eucaristica come fattore decisivo per la genesi e la crescita della comunità cristiana.
Anche se esistono indubbie analogie con i riti di altre forme religiose - penso ai riti sacrificali dell’Antico Vicino Oriente, alle cene ellenistiche, ma soprattutto ai pasti sacri del giudaismo di epoca ellenistica - oggi il novum introdotto da Gesù con l’Eucaristia dell’Ultima Cena viene universalmente riconosciuto.
All’interno del contesto pasquale di cui ormai siamo certi (cfr. Mt 26, 19-20; Mc 16-18; Lc 22, 13-14; Gv 13, 1-2), l’istituzione dell’Eucaristia si inserisce in una cena rituale, come quella singolare azione mediante la quale Gesù associa i Suoi alla Sua ora e missione anticipando il sacrificio della Sua Pasqua, strada definitiva per l’instaurarsi del Regno. Mangiando il Suo Corpo e bevendo il Suo Sangue, i discepoli vengono incorporati a Cristo: così si attua la communio che costituisce la Chiesa.
Nelle parole che Gesù pronuncia in quell’Ultima Cena è contenuta la somma della Legge e dei Profeti. Nell’atto dell’offerta di sé come unica vittima proporzionata al Padre (cfr. Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22, 19-20; 1Cor 11, 23ss), Egli coinvolge però anche i suoi discepoli, non semplicemente per educarli a ricordare la Sua persona e la Sua azione, ma per la loro permanente ed attiva partecipazione alla Sua offerta fino alla fine dei tempi: «fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19).
Siamo in grado, a questo punto, di cogliere tutta la pregnanza dell’azione eucaristica come sorgente e culmine dell’esistenza ecclesiale del cristiano: essa infatti esprime ad un tempo sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, la logikē latreía: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (tēn logikēn latreían)» (Rm 12, 1). Il culto ragionevole, cioè pienamente corrispondente alla nostra natura di uomini, coincide con l’offerta totale della nostra persona - «Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito» (Preghiera Eucaristica III). In questa visione paolina viene definitivamente abbattuto ogni muro di separazione tra sacro e profano. Né una parentesi all’interno di un’esistenza vissuta in un orizzonte profano, né un puro atto sacrificale e riparatorio delle offese o delle prese di distanza dallo sguardo di Dio: il nuovo culto cristiano coincide con l’intera esistenza vissuta come offerta di sé al Padre. «Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1Cor 10, 31). Ogni atto di libertà del cristiano è chiamato così ad essere atto di culto.
Da qui ha origine e qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della spiritualità cristiana. L’Eucaristia, infatti, è il vertice del settenario sacramentale. Essa, assumendo l’umano in tutta la sua densità storica, rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo chiamato, per grazia, ad essere ad immagine del Figlio stesso (cfr. Ef 1, 4-5). Pensiamo alla straordinaria efficacia del Battesimo: per il dono di questo sacramento riconosciamo che i figli, incorporati a Cristo nella Chiesa, sono nostri perché sono figli del Padre nostro che è nei cieli. La Confermazione svela ai cresimandi, chiamati alla testimonianza, che gli affetti ed il lavoro ricevono la loro verità dal dono dello Spirito di Gesù Cristo morto e risorto. Nel sacramento del Matrimonio l’esperienza determinante della vita affettiva, l’amore dell’uomo e della donna, viene affidata dalla Chiesa al Signore. Lui solo è in grado di realizzare il “per sempre” dell’amore che ogni sposa e ogni sposo, quando ama veramente, ha nel cuore. E non è forse per un’umanissima attenzione alla libertà - spesso ferita dal peccato - che la Chiesa ci invita alla riconciliazione con Dio e con i fratelli nel sacramento della Penitenza? Quando poi l’uomo viene ferito nella propria carne dalla inevitabile prova della malattia, l’Unzione degli infermi esprime la vicinanza speciale di Gesù che ha voluto patire come noi fino all’estremo abbandono della morte prima di risorgere per noi. La sua “carità medicinale” allevia le nostre sofferenze e, soprattutto, custodisce in noi la speranza di risorgere con Lui e così di reincontrarLo e di reincontrarci nel nostro vero corpo. Nel sacramento dell’Ordine poi taluni, non per i loro meriti ma per iniziativa dello Spirito di Gesù, sono presi a servizio del popolo di Dio come ministri ordinati.
In tutte le tappe del concreto dipanarsi dell’umana esistenza – nascita, morte e vita dopo la morte, amore ed incapacità di amare fino al tradimento, maturità e compito, fragilità… - la vita liturgica delle nostre comunità ci testimonia che ogni giorno e in ogni situazione Gesù si fa presente a tutti gli uomini.
Per questo, introducendo la terza ed ultima parte dell’Esortazione Apostolica (cfr. nn. 70-93), il Santo Padre afferma: «il mistero “creduto” e “celebrato” [possiede] in sé un dinamismo che ne fa principio di vita nuova in noi e forma dell’esistenza cristiana» (n. 70).
Con la quieta semplicità e la profonda penetrazione che caratterizzano il suo insegnamento, Benedetto XVI riafferma, fin dai primi passi dell’Esortazione, che il dono dell’Eucaristia risponde alle attese del cuore dell’uomo. Di ogni uomo di ogni tempo, ma specificamente dell’uomo nostro contemporaneo: «Nel sacramento dell’altare, il Signore viene incontro all’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gn 1, 27), facendosi suo compagno di viaggio. In questo Sacramento, infatti, il Signore si fa cibo per l’uomo affamato di verità e di libertà» (n. 2). Rifacendosi ad un tratto assai suggestivo dell’antropologia di Sant’Agostino, il Santo Padre ricorda che l’uomo si muove, spontaneamente e non per costrizione, quando è messo in gioco il suo desiderio costitutivo: che cosa l’anima desidera più ardentemente della verità? E, descrivendo questo dinamismo, la scelta dei termini che il Santo Padre compie - cuore mendicante, verità e libertà (cfr. n. 2) - non è certo casuale. «Proprio perché Cristo si è fatto per noi cibo di Verità, - scrive il Papa - la Chiesa si rivolge all’uomo, invitandolo ad accogliere liberamente il dono di Dio» (n. 2).
Il Signore,
coinvolgendo i suoi discepoli nell’atto stesso dell’offerta del Suo corpo e del
Suo sangue al Padre - da quel momento, nel dinamismo ininterrotto della traditio,
i sacerdoti riproporranno l’azione eucaristica in persona Christi -
inaugura il nuovo culto a Dio,
mediante il quale l’intera esistenza è posta sotto il segno della salvezza
operata dal Suo sacrificio. Di grande profondità e bellezza sono i numeri
dedicati dall’Esortazione alla logiké
latreia, il culto
spirituale (cfr. nn. 70-71), e alla forma
eucaristica dell’esistenza cristiana (cfr. n. 76). L’espressione compare molto spesso nella terza parte
dell’Esortazione (cfr. nn. 70, 71, 76, 77, 80, 82, 84).
«Infatti non è l'alimento eucaristico che
si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati.
Cristo ci nutre unendoci a sé» (n. 70). Il culto cristiano rifulge
in tutta la sua forza ed irriducibile originalità. Ogni circostanza
dell’esistenza viene trasfigurata dall’azione eucaristica, assumendo in un
certo vero senso un valore “sacramentale”.
Il Mistero eucaristico rappresenta il fattore dinamico che converte l’esistenza. Rigenerato dal battesimo e incorporato eucaristicamente alla Chiesa l’uomo può finalmente tendere alla propria piena realizzazione, imparando ad offrire il “proprio corpo” – cioè tutto se stesso - come sacrificio vivente santo e gradito a Dio (Rm 12, 1-2). «Non c’è nulla di autenticamente umano – pensieri ed affetti, parole ed opere - che non trovi nel sacramento dell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza. Qui emerge tutto il valore antropologico della novità radicale portata da Cristo con l’Eucaristia: il culto a Dio nell’esistenza umana non è relegabile ad un momento particolare e privato, ma per natura sua tende a pervadere ogni aspetto della realtà dell’individuo. Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio. La gloria di Dio è l’uomo vivente (cfr 1Cor 10, 31). E la vita dell’uomo è la visione di Dio» (n. 71).
3. Tratti di una spiritualità cristiana autenticamente eucaristica
Il testo guida
offerto dagli organizzatori del Convegno per il lavoro di queste giornate è la
Conclusione della Sacramentum Caritatis che si apre con questa affermazione:
«L’Eucaristia è all’origine di ogni forma
di santità ed ognuno di noi è chiamato a pienezza di vita nello Spirito Santo»
(n. 94). E subito alla commossa considerazione del Santo Padre si presenta una
folta rassegna di uomini e donne che «hanno reso autentica la propria vita (una
bella definizione di santità, insieme a quella, proposta poche righe più avanti
di riuscita della propria vita) grazie alla loro pietà eucaristica»
(ibidem).
Nell’ultima tappa della nostra riflessione esaminiamo dunque quattro tratti essenziali della forma eucaristica dell’esistenza cristiana (spiritualità).
a) Un’origine gratuita e non superabile
Occorre anzitutto soffermarsi sull’assoluta precedenza dell’Eucaristia rispetto ad ogni forma di santità. La santità cristiana nasce e si alimenta dall’Eucaristia come un fiume dalla sua sorgente.
Per comprendere adeguatamente la portata di questa affermazione, dobbiamo riflettere sull’abissale gratuità con cui ogni Eucaristia spalanca l’uomo, lungo tutto il pellegrinaggio della sua vita, all’intimità della vita del Deus Trinitas facendolo partecipare alla Sua comunione di amore. Dall’incipit della Conclusione della Sacramentum Caritatis conseguono due indicazioni fondamentali. Anzitutto, come abbiamo già sottolineato, l’assoluta gratuità dell’Eucaristia.
Il Papa ne parla abbondantemente facendo ricorso alla categoria di dono. All’origine della spiritualità cristiana o della forma eucaristica della vita - le due espressioni sono sinonime - troviamo sempre il dono. Ritorniamo alle osservazioni fatte in apertura sul rapporto Eucaristia-amore. «Dio è comunione perfetta di amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo… - scrive il Papa nella Prima Parte dell’Esortazione - …Gesù Cristo, dunque, che “con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio” (Eb 9,14), nel dono eucaristico ci comunica la stessa vita divina. Si tratta di un dono assolutamente gratuito, che risponde soltanto alle promesse di Dio, compiute oltre ogni misura. La Chiesa accoglie, celebra, adora questo dono in fedele obbedienza» (n. 8). Qui si radica l’insegnamento dell’Esortazione circa l’adorazione e il suo intrinseco rapporto con la celebrazione eucaristica (cfr. nn. 66-69): «L’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa» (n. 66).
La pratica dell’adorazione eucaristica è certo una strada privilegiata per educarsi al riconoscimento grato del dono gratuito che sta all’origine della spiritualità cristiana.
Non basta però affermare questa origine gratuita, si deve anche parlare della sua insuperabilità. In altri termini: parlando di origine gratuita e non superabile non si parla di qualcosa di posto all’inizio come una premessa da cui poi si possa prescindere cammin facendo. Al contrario il Mistero eucaristico è sorgente permanente, qui ed ora, di ogni passo del cammino della spiritualità cristiana. Questo spiega la sapienza educativa della Chiesa che invita i propri figli alla partecipazione frequente – almeno la domenica e le feste – alla celebrazione eucaristica.
Non possiamo negare, infatti, che la tentazione di ridurre l’origine eucaristica della spiritualità cristiana a semplice premessa ispirativa di un’azione salvifica che alla fine sia prodotta da me è sempre in agguato. Mentre Gesù ci ha detto «Fate questo in memoria di me», noi ci comportiamo come se ci avesse detto: “prendete spunto da questo, per fare altro”! Così termini come servizio, volontariato, o - addirittura - missione finiscono col diventare ideologici: ultimamente (perché questa è l’ideologia) finiscono con il nascondere il fondamento (Gesù Cristo Eucaristia) anziché manifestarlo.
b) La forma eucaristica è forma ecclesiale
Il secondo tratto fondamentale è segnalato dal Santo Padre nel n. 76 dell’Esortazione: «La forma eucaristica dell’esistenza cristiana - dice il Papa - è indubbiamente una forma ecclesiale e comunitaria» (n. 76).
Immedesimiamoci per un qualche istante col gesto dell’Ultima Cena. Gesù è il protagonista dell’azione che si svolge nella penombra di quella stanza in cui aveva convocato i Suoi per celebrare la pasqua. Colui che prende l’iniziativa, il soggetto del gesto eucaristico, della comunione ci appare, con estrema chiarezza, Gesù Cristo.
È Lui il protagonista indiscusso dell’azione, è Lui che prende il pane, lo spezza dicendo: «Questo è il mio corpo». Gesù è Colui che agisce nell’Eucarestia, nella edificazione della comunione. E lo fa attraverso la trasformazione del segno oggettivo del pane nel suo Corpo, del vino nel suo Sangue. Egli transustanzia in profondità il cibo e la bevanda più necessari alla vita, trasferendoli dentro un orizzonte ontologico diverso, cioè operando in essi non una mera mutazione di significato, ma una mutazione reale, sostanziale (la dottrina cattolica parla appunto di transustanziazione).
Così coloro che accettano di lasciarsi abbracciare dal gesto salvifico del sacrificio di Cristo sono sostenuti nel quotidiano, nel ritmo del tempo, attraverso la possibilità di una partecipazione elementare e fisica, attraverso l’assunzione del Corpo e del Sangue di Cristo.
«Se non ti laverò, non avrai parte con me» (Gv 13, 8). Gesù Cristo ci ha donato la possibilità di avere parte con Lui, cioè di essere incorporati al Suo mistero di morte e risurrezione: «Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1Cor 11, 26). È qui la sorgente inesauribile della comunità cristiana. I suoi - la comunità cristiana, la Chiesa –: coloro che, redenti dalla misericordia, sono diventati membra del Suo Corpo, sono stati acquistati dal Sangue redentore.
Il Corpus Domini ci mette veramente insieme. Gesù, lasciandosi assimilare a noi che mangiamo il Suo Corpo, in realtà ci assimila a Sé. Ricevendo l’Ostia consacrata, non siamo noi ad assimilare ciò che mangiamo - come avviene con ogni altro cibo -, ma è Colui che si dona a noi ad assimilarci a Sé. Questo è il mistero della comunione cristiana: una parentela non più limitata alla carne e al sangue naturali, ma estesa, per il dono eucaristico della Carne e del Sangue di Cristo, a uomini di ogni lingua, popolo e nazione.
Nell’Eucaristia, presenza reale di Gesù Cristo morto e risorto, viene continuamente rigenerata la nostra comunione con Lui e con i fratelli, quella indistruttibile unità che costituisce la nostra profonda e più vera identità, come potentemente scrive Sant’Agostino: «Se voi siete il Suo corpo e le Sue membra, sulla mensa del Signore è deposto quel che è il vostro mistero; sì, voi ricevete quel che è il vostro mistero» (Sermo 272).
c) Eucaristia e vita come vocazione
L’Eucaristia implica la possibilità di una cultura nuova, cioè di quel «rinnovamento di mentalità» (n. 77), capace di «confrontarsi con ogni realtà culturale, per fermentarla evangelicamente». «Occorre riconoscere - scrive il Papa - il carattere interculturale di questo nuovo culto, di questa logiké latreía» (n. 78). Ecco il terzo tratto costitutivo della forma eucaristica della vita cristiana.
L’incessante e fecondo dialogo con le culture degli uomini nasce dal fatto che «l’Eucaristia, come mistero da vivere, si offre a ciascuno di noi nella condizione in cui egli si trova, facendo diventare la sua situazione esistenziale luogo in cui vivere quotidianamente la novità cristiana» (n. 79). Questa è anche la ragione per cui il Santo Padre parla di «vita come vocazione» (n. 79).
Non anzitutto un determinato stato di vita, ma la vita stessa. Nell’hic et nunc della sua esistenza storica la Trinità o, più precisamente, Gesù Cristo, l’autorivelazione della Trinità, chiama ogni uomo attraverso ogni circostanza ed ogni rapporto. Pertanto ogni circostanza ed ogni rapporto - nulla escluso - sono il luogo dove si gioca il dramma della sua libertà che risponde al Mistero.
Per questo ogni istante della vita vissuto come offerta di sé al Padre, è inscritto nel grande Sacrificio Eucaristico del Figlio che si rinnova in ogni tempo ed ad ogni latitudine. In tal modo la ratio sacramentalis illumina l’esistente umano e l’esistente storico nella sua totalità.
Tutti i fedeli cristiani sono chiamati a vivere la propria vita come vocazione sul solido fondamento dell’Eucaristia: i fedeli laici (cfr. n. 79), i sacerdoti (cfr. n. 80) e coloro che sono stati chiamati alla vita consacrata (cfr. n. 81). «È la felice scoperta del dinamismo dell’amore nel cuore di chi accoglie il dono del Signore, si abbandona a Lui e trova la vera libertà» (n. 82). In questa prospettiva descritta da Sacramentum Caritatis tutta l’esistenza cristiana trova una potente semplificazione, perché si rivela come il sì umile e lieto all’esaltante chiamata del Padre: «Seguo la via dei tuoi comandi, perché hai dilatato il mio cuore» (Salmo 118).
d) Eucaristia e testimonianza
Infine un ultimo tratto fondamentale riguarda la forma della missione che scaturisce dall’Eucaristia.
Nell’offerta della propria vita (culto spirituale, logiké latreia) si può identificare la sorgente permanente della testimonianza. Vivere il Mistero eucaristico significa anche essere introdotti ad una conoscenza nuova della realtà e ad una nuova coscienza della propria responsabilità. Ecco perché Benedetto XVI approfondisce la relazione tra Eucaristia e missione (cfr. n. 84) in termini di testimonianza: «La prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore» (n. 85). La testimonianza-missione – che non ha altro intento se non «portare Cristo» (n. 86) - diviene in tal modo la modalità con cui il mistero dell’Eucaristia documenta la fecondità dell’esistenza credente.
Benedetto XVI ci ricorda che «diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo» (n. 85).
Parte integrante della forma eucaristica dell’esistenza cristiana è la capacità del sacramento memoriale della nostra salvezza di farci guardare alla storia e al mondo intero con occhi nuovi. In effetti, come ricorda Benedetto XVI, «nell’Eucaristia si rivela il disegno di amore che guida tutta la storia della salvezza (cfr. Ef 1, 10; 3, 8-11)» (n. 8). Le numerose e precise implicazioni sociali del Mistero eucaristico creduto, celebrato e vissuto, che il Papa elenca possono essere comprese proprio alla luce della missione testimoniale della fede (cfr. nn. 88-91).
Non sarà
inutile ricordare, in sede conclusiva, che né la missione, né la testimonianza
per il cristiano appartengono anzitutto alla sfera del dover essere, ma a
quella dell’essere. E la ragione sta, ancora una volta, nella radice
eucaristica dell’esistenza cristiana: «L’Eucaristia ci attira nell’atto
oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos
incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’immagine
del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile:
ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione
alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa
unione» (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 13).