Il Patriarca Francesco ha ordinato quattro nuovi diaconi

Ufficio Stampa del Patriarcato di Venezia

 Sabato 5 novembre 2022

 

OGGI IL PATRIARCA FRANCESCO HA ORDINATO QUATTRO NUOVI DIACONI

Nella mattinata di oggi sono stati ordinati quattro diaconi, in vista della successiva ordinazione presbiterale. Si tratta di due seminaristi del Patriarcato di Venezia e di due frati dell’ordine dei Francescani Cappuccini. Sono don Matteo Gabrieli, don Lorenzo Manzoni, alunni del Seminario Patriarcale di Venezia, fr. Fabio Burla e fr. Luca Savoldelli dei frati Minori Cappuccini. La celebrazione si è svolta nella basilica cattedrale di San Marco in Venezia.

Nella sua omelia il Patriarca Francesco ha esortato i candidati a meditare sul ministero che stavano ricevendo: «Carissimi oggi voi entrate in un “servizio” che unisce la carità dell’altare alla carità materiale. Per un diacono è necessaria la pratica di tutte le opere di misericordia: le sette opere “spirituali” (consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti) e le sette opere “materiali” (dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti). Tali opere si richiamano l’un l’altra e, quindi, il prendersi cura dell’uomo concreto e della comunità a cui si è inviati per un diacono vuol dire testimoniare la carità di Cristo, la Divina Misericordia, a 360 gradi».

Il diaconato è uno dei “gradi” del sacramento dell’ordine (gli altri sono il presbiterato e l’episcopato); ai diaconi, spiega il Catechismo della Chiesa cattolica, sono imposte le mani dal Vescovo «non per il sacerdozio, ma per il servizio» e così «partecipano in una maniera particolare alla missione e alla grazia di Cristo. Il sacramento dell’Ordine imprime in loro un sigillo (“carattere”) che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il quale si è fatto “diacono”, cioè servo di tutti». E il Concilio Vaticano II (“Lumen gentium”) ricorda che i diaconi – chiamati ad esprimere alcuni specifici impegni durante il rito di ordinazione – «sostenuti dalla grazia sacramentale, servono il popolo di Dio nel ministero della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio».

In allegato il testo integrale dell’omelia del Patriarca Francesco pronunciata durante la celebrazione.

 

I DUE SEMINARISTI VENEZIANI

Don Matteo Gabrieli ha 34 anni, è nato a Padova da famiglia veneziana e fino ai 10 anni ha vissuto a Scorzè prima di trasferirsi alla Giudecca dove ha abitato per una decina d’anni; Matteo si racconta a Gente Veneta: «A Scorzè ho cominciato a conoscere la bellezza della fede, lì ci sono le origini della mia vocazione. E lì, a Dio piacendo, vorrei celebrare la mia prima Messa». Aveva frequentato il Seminario minore, medie e liceo classico, ma prima di iniziare il percorso di Teologia si è tuffato per qualche anno in un’esperienza lavorativa da cameriere (al Gritti di Venezia) per poi rientrare in Seminario ormai ventisettenne: «E ringrazio il Signore che mi ha riportato qui di nuovo».

Da seminarista Matteo è stato, forse, uno di quelli che ha girato di più la Diocesi facendo esperienza in tante realtà. Ha prestato servizio al Lido di Venezia (S. Ignazio, Malamocco e comunità pastorale) e lì «sono entrato per la prima volta in una pastorale parrocchiale molto viva che, sino a quel momento, non avevo sperimentato». E poi è passato nelle parrocchie veneziane di S. Nicolò dei Mendicoli e dell’Angelo Raffaele, a Dorsoduro, dove si sono creati bei legami e «so che c’è tanta gente che prega per me». Ma è stato anche a Caorle, Jesolo Lido, Gambarare, Mira e da pochi giorni a S. Pietro di Favaro.

Tra gli impegni che assumerà diventando diacono quale potrebbe essere il più difficile da portare avanti? Continua, nell’intervista a Gente Veneta: «Per i tempi che corrono direi il celibato: investe tutta la vita e non è solo continenza sessuale, ma richiede un particolare rapporto con le cose e la propria fisicità. Diacono e sacerdote sono chiamati ad alternare momenti di solitudine ad altri in cui si ha a che fare con le persone, tutto da vivere sempre con serenità e sapendo che il grande Amico, quando termini la giornata e sei solo in canonica, è il Signore».

Don Lorenzo Manzoni è nato a Padova 26 anni fa e lì ha vissuto per i primi otto anni finché la sua famiglia, veneziana d’origine, non è tornata in Diocesi e si è stabilita (dal 2004) nella parrocchia mestrina di S. Maria di Lourdes. Da ragazzo è stato molto attivo sia a scuola, impegnato nella rappresentanza degli studenti al liceo classico Franchetti, sia negli scout laici (Cngei); ha quindi conosciuto e frequentato le proposte diocesane di orientamento vocazionale ed è entrato in Seminario, raggiunto il diploma, a 19 anni.

Da seminarista è stato per un breve periodo nella sua parrocchia d’origine, poi a S. Maria Ausiliatrice (Gazzera) e per un’estate a S. Stefano di Caorle; per due anni è rimasto in Seminario a seguire le esperienze di pastorale vocazionale, è passato quindi a S. Maria Elisabetta del Lido e infine, da poco, è stato assegnato alla parrocchia di S. Giovanni Battista di Jesolo. Nel frattempo, ultimamente, è divenuto pure una ricorrente “firma” di questo giornale.

«Mi colpisce l’assunzione di questo compito – afferma Lorenzo in una recente intervista a Gente Veneta -. Per l’ordinazione diaconale siamo già in grado di donare la grazia del Signore attraverso alcuni gesti efficaci e potendo addirittura amministrare a nome della Chiesa alcuni sacramenti anche se poi concretamente, in questi mesi, non lo faremo ancora. Ma potremo offrire la vicinanza del Signore alle persone, in nome della Chiesa, ed è in fondo il motivo per cui siamo entrati in Seminario. Ora si fa sul serio, entriamo in quella definitività che è proprio quanto abbiamo desiderato».

I FRATI CAPPUCCINI

Fra Luca Savoldelli viene dalla provincia di Bergamo, classe 1990. «Non ho avuto il coraggio di dire subito ai miei che sarei entrato in convento. Lo hanno saputo solo due mesi prima. Dall’età di 16 anni lavoravo come metalmeccanico, poi ho completato gli studi alle serali come dirigente di comunità. I miei genitori non sapevano nulla della vita dei frati. La mia decisione li ha spiazzati. Ma non me l’hanno mai fatto pesare… e nel giro di pochi mesi, si sono mostrati addirittura contenti».

Fra Fabio Burla è del 1983 e viene da Verona: «Mi sento bene, contento di essere chiamato al sacerdozio. Mi rendo conto che è un dono e che di mio non c’è proprio niente. Sono diventato cappuccino perché attratto dalla vita di san Francesco: una vita di povertà, umiltà e preghiera». Ha conosciuto meglio il santo di Assisi grazie a un libro e a una catechesi ascoltata quasi per caso. «Ho lavorato per quattro anni in un’industria alimentare. Gli ultimi quattro prima di entrare in convento ho fatto lavori stagionali… la raccolta della frutta».

 

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