“Vivere la Chiesa come sinfonia di voci e vocazioni”, la riflessione del Patriarca alla Messa del Crisma

La mattina di giovedì 24 marzo, nella basilica cattedrale di S. Marco a Venezia, il Patriarca Francesco Moraglia ha presieduto la solenne Messa del Crisma.

All’inizio dell’omelia (testo completo nell’allegato in calce), ha rivolto un particolare pensiero di gratitudine ed affetto nei confronti dei sacerdoti: “Per loro e per la nostra Chiesa particolare è un giorno importante. Fra poco, infatti, rinnoveranno il loro “sì” sacerdotale, confermando le promesse fatte il giorno della loro ordinazione. A voi presbiteri il grazie sincero del vescovo e dei fedeli. Senza di voi non si celebrerebbe l’eucaristia e non si donerebbe il perdono nel sacramento della riconciliazione. A voi, dunque, la riconoscenza della Chiesa che è in Venezia e delle sue piccole e grandi comunità per quanto fate nel servizio pastorale. Il prete non sceglie di sua iniziativa l’ambito del suo ministero. Ogni prete, infatti, è e rimane  un mandato, un apostolo che per la sua gente è dono del Signore; egli, infatti, non porta se stesso ma il suo sacerdozio, ovvero la particolare presenza di Gesù e il potere di compiere alcuni gesti propri di Gesù, sommo ed eterno sacerdote. A voi, carissimi confratelli nel sacerdozio, un grazie detto con semplicità e affetto per quanto dividete con la vostra gente e donate ogni giorno alle vostre comunità servendo, incoraggiando e facendovi carico delle altrui fragilità. Il prete, anche al di là della sua consapevolezza, con il suo carattere e la sua santità , plasma la sua comunità. È un grande dono e una grande responsabilità essere prete”.

Proprio in questa speciale circostanza il Patriarca ha voluto presentare e affidare alla Diocesi la sua nuova lettera pastorale intitolata “Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù” e riguardante soprattutto l’avvio delle “collaborazioni pastorali”: “Riconosciamo la bellezza e varietà delle vocazioni cristiane radicate nel battesimo che tutti ci unisce e poi apprezziamo la specificità del sacramento dell’ordine – diaconato, presbiterato, episcopato -, del sacramento del matrimonio, della vita di speciale consacrazione a Dio. Tutto ciò segna l’inizio di una reale e non solo funzionale collaborazione; una sorta di “sinodalità” che nasce non tanto dal fare ma dalla consapevolezza che nella Chiesa vi sono molte vocazioni e carismi. E tutti sono essenziali.  Riconoscendo e promuovendo le differenti vocazioni non si corre più il rischio  di appiattire l’intera realtà ecclesiale ad una sola vocazione a scapito delle altre; per il passato, talvolta, questo è accaduto concentrandosi sul ministero ordinato. Il clericalismo nasce o da una teologia “azzoppata” o da un efficientismo che preferisce – mi servo di un’immagine – pescare da soli piuttosto che dividere con altri la difficile arte della pesca. Al di là dell’immagine, la Chiesa si rigenera anche attraverso una reale corresponsabilità che gioisce nel riconoscere la bellezza e la specificità dell’altrui vocazione. Le supplenze – se prolungate – portano alla “discrasia”, ossia ad uno squilibrio che non consente di vivere la Chiesa come sinfonia nella quale le voci si arricchiscono reciprocamente, oltre a quella del solista che risalta con chiarezza ma non può esprimere la pluriformità”.

Mons. Moraglia ha, infine, così terminato la sua riflessione: “Il santo Curato d’Ars,  patrono dei parroci, era solito dire: “…un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”. Attraverso l’intercessione di Maria, Madre dell’eterno e sommo sacerdote, chiediamo a Dio per tutte le nostre comunità – in questo Anno giubilare della Misericordia – la grazia del perdono e della riconciliazione”.

 

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